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Più prove per la realtà dell’entropia genetica

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tradotto da Eleonora Battezzato per Associazione Italiana Studi sulle Origini

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Figura 1. La raccolta di mutazioni nell’ H1N1 umano. Il ceppo pubblicato Brevig Mission del 1918 venne utilizzato come riferimento (riga in grassetto) per il confronto con tutti i possibili genomi dell’H1N1 che infettano gli umani. Ci sono due linee di andamento distinti nei dati. I campioni dell’epidemia del 2009-2010 e i campioni aggiuntivi dal 2011-2012 sono cerchiati. Questi e i punti sparpagliati sono tutti derivati dalla versione suina dell’H1N1. I punti rimanenti rappresentano l’accumulo di mutazioni nella versione “umana” dell’H1N1: dal 1918 alla sua iniziale estinzione nel 1957, una pausa di 19 anni, la sua reintroduzione nel 1976 (dal ceppo approssimativamente dal 1955, dopo di che il conteggio delle mutazioni continua dove si era fermato) e una seconda scomparsa nel 2009

Il mio collega John Sanford ed io abbiamo pubblicato un articolo di recente su un giornale secolare con ciò che crediamo essere delle profonde implicazioni.1 La nostra affermazione basilare è che “l’entropia genetica” è attiva nel mondo reale, il che suscita alcune domande sul ruolo della selezione naturale e sulla sopravvivenza a lungo termine delle specie nel futuro.

Un nuovo sguardo ad un vecchio virus

L’articolo analizzava l’accumulo di mutazioni nel genoma dell’influenza H1N1 umano utilizzando valori di oltre 95 anni di sequenze genetiche (Figura 1). Questo genere di dati è una rarità nel mondo della genetica, perché la maggior parte dei dati di sequenziamento provengono da organismi recenti con lunghi tempi di generazione. Il virus dell’influenza, tuttavia, è stato isolato e sequenziato da campioni di tessuto umano fin dal 1918. Con una trasmissione da umano a umano in media ogni tre giorni circa, tutto ciò crea oltre 11.000 generazioni di malattie e moltiplicato molte volte di più per le generazioni virali. Il numero di generazioni virali è possibilmente paragonabile al numero di generazioni dalla presunta divisione che ha portato all’uomo ed allo scimpanzé.

Foto: Wikipedia/Cybercobrainfluenza-virus
Figura 2. Micrografo elettronico del virus influenzale H1N1 che causò l’epidemia dell’influenza suina del 2009-2010

Abbiamo fornito dati che suggeriscono fortemente che i vari virus influenzali che contagiano gli umani non possono sopravvivere a lungo, ed eravamo i primi a notare la sparizione della versione umana del virus influenzale H1N1 a metà del 2009. Concludemmo le nostre argomentazioni insinuando come le agenzie di governo fossero fuori strada nella loro ricerca per rilevare nuovi ceppi in evoluzione. Invece gli scienziati dovrebbero concentrare i loro sforzi per capire la comparsa di nuovi virus, in quanto, una volta che il virus salta fra specie, brucia veloce e rovente e alla fine si esaurisce. Sono le nuove versioni a rappresentare le più grandi minacce, non quelle vecchie ed esauste. Abbiamo discusso riguardo l’epidemia dell’influenza suina del 2009-2010, notando che fu molto meno grave rispetto quello che c’eravamo aspettati, e tutto ciò fu dovuto probabilmente al fatto che aveva raccolto migliaia di mutazioni ed era molto meno vigoroso rispetto all’originale virus ancestrale H1N1 che colpì la popolazione suina nello stesso periodo in cui la versione umana comparve.

Il virus dell’influenza, tuttavia, è stato isolato e sequenziato da campioni di tessuto umano partendo già dal 1918.

Implicazioni sullo studio

Ci sono delle implicazioni aggiuntive al nostro lavoro, sebbene molte di queste non siano state menzionate esplicitamente nel testo.

Dapprima, questo è apparentemente il primo esperimento progettato per testare il modello di mutazione/selezione darwiniano in una qualsiasi specie per oltre decine di migliaia di generazioni. Tutti gli altri esperimenti (anche Lenski 2) utilizzarono molte meno generazioni, o assunsero antenati comuni (per esempio qualsiasi scritto riguardo l’evoluzione di umani e scimpanzé da un antenato comune) senza testarli realmente.

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Figura 3. La percentuale di variazione relativa nei quattro nucleotidi nel virus umano dell’H1N1 dal 1919 al 2009. Gli anni sono regolati per la reintroduzione nel 1976 di un ceppo approssimativamente dal 1955, dando un periodo totale di campionatura di 70 anni. La pausa nei dati intorno all’anno 55 non rappresenta l’estinzione del 1957, ma dati mancanti dal 1990-1994.

Secondo: nonostante un’intensa e dimostrabile selezione naturale fra questi virus, la versione del 1918 del virus umano H1N1 si estinse, due volte, alla comparsa di un ceppo concorrenziale, dovuto apparentemente alla mancanza di robustezza causata dall’aumento della mutazione. La prima volta avvenne nel 1957 quando uno sierotipo antagonista apparve. Dopo una reintroduzione accidentale dell’H1N1 umano nel 1976, la seconda estinzione occorse quando una versione ricombinata dell’H1N1 suino comparve negli umani e dopo che più del 10% del genoma H1N1 era scomparso per “degenerazione”.

Terzo: le mutazioni che accumulano non sono muti, anche quelle che non intaccavano la catena di amminoacidi di una proteina, in quanto l’utilizzo del codone influenza l’efficienza di traslazione. I livelli circolatori di molti RNA di trasporto sono proporzionali alla frequenza dei loro codoni corrispettivi. Perciò, passando dai comuni ai codoni rari si prevede la diminuzione della velocità di traslazione.3 Un aumento dell’accumulo di mutazioni incontrollate causa una scomposizione nella propensione dei codoni, intaccando potenzialmente l’efficienza di traslazione nelle cellule ospiti.

Dopo una reintroduzione accidentale dell’H1N1 umano nel 1976, la seconda estinzione occorse quando una versione ricombinata dell’H1N1 suino comparve negli umani e dopo che più del 10% del genoma H1N1 era scomparso per “degenerazione”.

Infine, siccome le diverse mutazioni si erano accumulate in modo lineare, quelle mutazioni che evitarono il filtro selettivo (e che sarebbe la maggior parte delle mutazioni) accumularono apparentemente secondo le leggi della chimica. Perciò, il cambiamento genetico è in modo schiacciante il prodotto di termodinamiche (Figura 3) e non selezione. Con il passare del tempo ci fu, approssimativamente, un aumento netto dell’1% in A, un aumento netto del 0,5% in U (H1N1 è un virus RNA), una perdita netta dell’1% di C, e una perdita netta dell’1% di G.

La selezione naturale ebbe un effetto minimo sulla direzione mutazionale. Questo significa che la direzione del cambiamento “evoluzionistico” è prestabilita? Se così fosse e se l’antenato comune di cose come umani e scimpanzé non è “sulla curva”, non dovrebbero avere un antenato in comune. Questa sarebbe una linea di studio molto interessante.

Creazionisti e ricerche originali

Il lettore dovrebbe notare che l’editore del giornale presentante contrassegnò in modo permanente, l’articolo con “frequentemente scaricato” mentre l’articolo provvisorio fu ancora disponibile sul loro sito. Chiaramente, molti appartenenti alla comunità di ricerca sull’influenza hanno scaricato l’articolo. Chi dice che i creazionisti non fanno mai ricerche originali e chi dice che non pubblicano mai su giornali paritari?

Riferimenti e note

  1. Carter, R. and Sanford J.C., A new look at an old virus: patterns of mutation accumulation in the human H1N1 influenza virus since 1918, Theor. BiolMed. Model 9:42, 2012 | doi:10.1186/1742-4682-9-42; tbiomed.com/content/9/1/42. Torna al testo.
  2. Blount, Z.D., Borland, C.Z. and Lenski, R.E., Historical contingency and the evolution of a key innovation in an experimental population of Escherichia coli, PNAS 105(23):7899-7906, 2008 | doi:10.1073/pnas.0803151105. See also Batten, D., Bacteria ‘evolving in the lab’?, ‘A poke in the eye for anti-evolutionists’?, 2008; creation.com/citrate. Torna al testo.
  3. Xia, X., Maximizing translation efficiency causes codon usage bias, Genetics 144:1309-1320, 1996. Torna al testo.

Helpful Resources

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